domenica 7 aprile 2013

Ridursi per purificarsi

Il fallimento dei diversi tentativi di trovare una forma di mediazione con il movimento cinque stelle ha una spiegazione assai semplice: tale movimento è alieno da qualsiasi mediazione. Ciò trova una spiegazione ufficiale nelle dichiarazioni del suo proprietario e dei suoi accoliti maggiormente fidelizzati o fanatizzati, che consiste nella litania della diversità, dell'irriducibilità e della superiorità: da ciò conseguirebbe la refrattarietà a qualsiasi alleanza con soggetti diversi, e pertanto infidi.
Se questo comportamento è spiegabile, nei termini della psicopatologia, come risultato di una sindrome paranoica, come sostiene con dovizia di argomenti Malvino, qui interessa comprenderne le linee strategiche, più che comprenderne i motivi. Ogni normale partito politico, infatti, dopo aver conseguito un forte consenso elettorale, tende a capitalizzare tale risultato (o, il che è lo stesso, a esercitare il mandato degli elettori secondo le logiche della democrazia rappresentativa) per insediarsi al governo o, per lo meno, per contribuire a indirizzarne le politiche. I pentastellati, invece, si arroccano, si riuniscono in improbabili convegni a metà tra la riunione segreta e la gita fuori porta, si limitano a ribadire la loro estraneità tanto da cortocircuitare la loro (ampia) retorica e (limitata) prassi della trasparenza, fino a utilizzare le due soluzioni estreme della comunicazione pubblica: ribadire la propria purezza nella forma evangelica del chi non è con me è contro di me, e parlare d'altro, per esempio del Monte dei Paschi.
Il dato interessante, a cui non mi pare si faccia sufficiente attenzione, è che questo comportamento è del tutto opposto a quello adottato in Sicilia, dove il M5S è, di fatto, parte della maggioranza di governo, e dove tale partecipazione viene rivendicata, nelle parole del proprietario del movimento e dei suoi più illustri fiancheggiatori. In altre parole, e mi sembra chiaro che questo debba essere stato il pensiero dei vertici del PD, il modello siciliano poteva essere visto come il precedente a cui rifarsi, se non come l'incubatore di un possibile governo nazionale.
Se non è accaduto così non è, credo, per una forma di schizofrenia da parte di un soggetto politico che pensa in un modo a Palermo e in un altro a Roma, o perché con il 15 per cento ci si comporta in un modo e con il 25 in un altro: la prima interpretazione mi pare troppo psicologica, la seconda troppo politica. Credo che si tratti di una questione di egemonia, sulla scena politica e, soprattutto, all'interno del M5S, che proprio per i suoi risultati elettorali si sta trasformando, di necessità, da aggregato eterogeneo tenuto insieme da un leader carismatico in soggetto politico a tutti gli effetti. La caratteristica primaria di un soggetto politico, infatti, anche quando esso sia maggiormente caratterizzato dal leaderismo e dal culto della personalità, è proprio la sua pluralità: per quanto sia importante il leader, in esso esistono altre personalità, diverse specializzazioni e diverse opzioni tattiche e persino strategiche. Accade oggi nel PDL, per esempio, come è accaduto nel PCUS staliniano o nella NSDAP, per quanto tutte queste formazioni fossero indubbiamente dominate da un leader carismatico.
In altre parole, un M5S coinvolto nel governo a livello nazionale dovrebbe fare i conti con istanze, modalità e tempi decisionali diversi da quelli interni, il che renderebbe necessario lo sviluppo di strutture e di deleghe personali tali da trasformare la natura profonda del movimento stesso, verso una maggiore pluralità, una più ampia e visibile dialettica e, persino, un diverso rapporto con i media. Se già i due improbabili capigruppo parlamentari stanno esprimendo differenze e disagi, ci si può immaginare cosa accadrebbe con un ministro o un rappresentante in una commissione governativa.
L'arroccamento del movimento, la sua litania di intransigenza e le continue scomuniche del proprietario verso chi si distanzia dalla linea ufficiale rispondono, insomma, essenzialmente a esigenze di controllo interno, per bloccare l'evoluzione del M5S verso la forma di soggetto politico plurale. A queste condizioni, una forte riduzione del consenso elettorale non sarebbe vista come una sconfitta ma come un necessario passaggio di depurazione, per ribadire la litania di alterità ed estraneità e consolidare l'assetto monolitico del movimento.
Qui, se si vuole, si può misurare la pochezza delle capacità strategiche del proprietario, che si preclude di fatto ogni possibilità di accesso al potere, o di azione concreta sulle cose, pur di conservare il proprio predominio. Se è possibile governare in Sicilia, ciò avviene perché il livello locale non interessa al proprietario, che comunica direttamente con le masse per via diretta, con i suoi comizi nelle piazze e sul suo similblog, o per via indiretta, attraverso le televisioni che riportano i suoi slogan e la sua estetica. Partecipare al governo del Paese creerebbe, necessariamente, una moltiplicazione dei canali di comunicazione e dei soggetti che vi avrebbero accesso, mettendo in crisi un modello di leadership che si definisce, più che secondo le categorie classiche della politica, secondo quelle del marketing, e nemmeno di quello più moderno: l'importante è controllare il brand e trasmetterlo, impedendo a chiunque di contribuire a determinarlo.

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