mercoledì 25 agosto 2010

A margine di Malvino

Pochi argomenti sono più fecondi nel suscitare dibattiti della faccenda tra Israele e Palestina. Il fatto che anche su questo argomento si riescano a dire cose sensate e in modo civile, è una ulteriore riprova della straordinaria qualità di Malvino. Provo a dire due cose postate anche lì.

In guerra, esprimere un giudizio, e pertanto schierarsi da una parte o dall'altra in seguito a considerazioni razionali, è difficile per due ordini di motivi: in primo luogo perché le considerazioni morali sono difficilmente districabili da quelle pragmatiche; infatti, dal momento che meno dura una guerra meglio è, per cui ogni impiego soverchiante della forza, in quanto accelera la fine del conflitto, è allo stesso tempo giusto e utile, ma implica un sovrappiù di distruzione che può essere inaccettabile dal punto di vista etico e persino da quello tattico. In secondo luogo, perché i giudizi sulla guerra, come ha ben argomentato Micahel Walzer, anche quando si vogliano puramente morali, devono necessariamente distinguere tra ius ante bellum, in bello e post bellum. Ad esempio, è chiaro che durante la Seconda Guerra Mondiale gli alleati fossero dalla parte giusta e che ogni sforzo fosse giustificabile di fronte alla minaccia di asservimento o sterminio per intere popolazioni; d'altra parte, alcune azioni sistematicamente intraprese dagli alleati (i bombardamenti delle città tedesche e giapponesi da parte angloamericana, le vessazioni della popolazione tedesca e dei prigionieri di guerra da parte sovietica) siano state ingiustificabili crimini di guerra.
Nel caso del conflitto israelo-palestinese, mi pare che vi si commettano spesso diversi errori di giudizio, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. In primo luogo, i torti e le ragioni vengono attribuiti in modo sproporzionato sulla base di un evento originario, messo a nudo il quale ci si possa schierare in modo definitivo. Al di là del fatto che non si tratta di una ricerca neutrale ma di poco più che di una petizione di principio, il problema strutturale è l’inadeguatezza di questo approccio, che finisce per perdere di vista il quadro generale, in cui più che le cause iniziali contano le finalità effettivamente perseguite. Per tornare al caso classico della Seconda Guerra Mondiale, a definire il regime nazista come nemico dell’umanità stessa non è stata l’illegittimità dell’invasione della Polonia, quanto la sua politica razziale e genocida; ciò vale anche al di là delle specifiche intenzioni dei belligeranti, che almeno in un primo momento si erano mobilitati per ragioni di alleanza e non per difendere gli ebrei di Varsavia, di cui, in tutta franchezza, non sembra che a Churchill importasse poi molto.
Il secondo errore di impostazione riguarda la mancata distinzione degli aspetti ante bellum e in bello, vale a dire la bontà delle ragioni con cui israeliani e palestinesi sostengono la loro causa rispetto alle modalità con cui conducono il conflitto. Chiunque sostenga la causa israeliana non può che condannare la complicità nelle stragi di Sabra e Chatila, così come qualsiasi filo palestinese dotato di un minimo di razionalità non può che rifiutare i massacri di civili israeliani, con attentati suicidi o altri mezzi; sembra però che tutto il gioco sia nel trovare giustificazioni per la propria parte, come se fosse inconcepibile che la parte giusta possa commettere dei crimini ingiustificabili, quando la storia mostra una messe sterminata di esempi contrari.
Certo, il problema sta tutto nel decidere se la somma dei crimini prodotta dalla parte che si riconosce come giusta si bilanci con quelli degli altri e quando essa possa essere tale da inficiare le ragioni iniziali. In ogni caso, dirimente non è tanto chi avesse ragione in un dato momento del passato, ma quale configurazione ci si potrebbe aspettare in caso di vittoria totale di una delle due parti, e quali obiettivi vengono concretamente perseguiti, sia nella condotta della guerra, sia nella definizione della vittoria.
Con questo tipo di approccio, l’esame dei fatti per come li conosco mi mette indubbiamente dalla parte di Israele, ma ciò non impedisce che possa riscontrarne gli errori tattici (la maniera dilettantesca con cui è avvenuto l’abbordaggio alla Mavi Marmara e la conseguente strage evitabile), le violazioni più o meno occasionali e non adeguatamente investigate e punite (vessazioni verso la popolazione palestinese e in particolare di quella di Gaza), i veri e propri crimini (la citata acquiescenza verso i falangisti libanesi a Sabra e Chatila), le politiche non condivisibili (la colonizzazione sistematica di territori palestinesi da parte dei gruppi più sgradevoli della popolazione israeliana).

1 commento:

  1. Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto,
    chi ha dato, ha dato, ha dato,
    scurdammuce o passato,
    simm'e Napoli, paesa'

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